Fabrizio Corona, cadere e rialzarsi sulla cattiva strada

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“La cattiva strada”, Mondadori, 17 euro

di Valerio Musumeci

Quando vidi Fabrizio Corona al Costanzo Show, alla prima apparizione televisiva dopo l’uscita dal carcere – quando da par suo rimbrottò i giornalisti ospiti e riuscì a far scappare Cecchi Paone – confesso di essermi chiesto in che Paese viviamo e cosa stesse facendo Fabrizio. In che Paese viviamo perché per un Corona che esce di galera, dov’era finito con una condanna eccessiva e dove certamente soffriva, ci sono mille sconosciuti che continuano a subire condanne eccessive e sofferenze certe nel silenzio completo dei media; cosa stesse facendo Fabrizio perché, al netto di un trattamento giudiziario troppo severo, il giovane si lanciava di nuovo nella mischia invece di tenere un basso profilo e cercare di ricostruire una vita serena.

Di qui la lettura del suo ultimo libro, “La cattiva strada”, edito da Mondadori. Senza troppe aspettative, perché le biografie dei vip in genere deludono e non vi si trova altro che l’esaltazione di sé, la giustificazione di ogni errore, la responsabilità di tutti tranne che del protagonista nelle vicende descritte. Pare che mi sbagliassi, e che in fondo fossero sbagliate le premesse qui sopra: Fabrizio Corona ha dei santi in paradiso e questa non è colpa sua più di quanto non sia un suo merito, e ciò per dire dell’uscita dal carcere; quanto al tornare in pista, poi – nel modo di sempre, con la strafottenza che lo contraddistingue insieme al talento – si può giungere alla conclusione che egli non avrebbe potuto, anche volendo, fare diversamente. Non avrebbe potuto aprire un negozio, fare l’impiegato, cambiare paese e mantenere un basso profilo. E’ voluto diventare qualcuno e paga il fatto di non poter tornare indietro, neppure se volesse. E’ un simbolo, e deve farci i conti.

“La cattiva strada” parte da Catania, la città che gli ha dato la luce e nel quale ha trascorso i primi anni. Rampollo di buonissima famiglia, padre giornalista che avrebbe fatto carriera e a cui si apriva ogni porta, Fabrizio poteva diventare il solito figlio di papà che vive di luce riflessa. Ma non andò così, lo racconta in queste pagine: trasferito a Milano, deve assistere al crollo professionale del genitore e da lì decidere di fare qualcosa per superarlo, per imporsi nella società meglio di chi vedeva come l’uomo più potente del mondo. Fa buoni studi ma litiga con i professori, il suo carattere inizia ad emergere. Inizia a sentirsi un capo, e lo vede nello studio, poi nel lavoro e con le donne. Entra nel mondo dello star system, conosce la droga, incontra l’uomo a cui ancora oggi la sua immagine è legata e che un giorno lo distruggerà, Lele Mora. Sposa una donna bellissima e cerca di creare una famiglia che la sua fame di gloria distruggerà, diventa un protagonista della televisione e da lì infiniti scandali e imbrogli e dissolutezze fino all’epilogo, la fuga disperata in Portogallo e la cattura, il carcere e per tre anni il buio più completo. Fabrizio Corona scompare. Il vorace jet set che per anni l’ha idolatrato sembra dimenticarsene, una meteora che è passata e che non esiste più.

La galera lo segna, lo traumatizza. I detenuti non sono gentili con chi hanno visto per anni in televisione, invidiandolo dal dolore del loro isolamento. Soffre, dimagrisce, la madre non si dimentica di lui e gli appelli si fanno più insistenti, scrive al Presidente della Repubblica perché gli dia la grazia, molti condividono e così si torna a parlare di lui. Poi l’uscita dal carcere, è un tossico in riabilitazione e perciò ha diritto ai servizi sociali. Qualche mese di incubazione e ora l’esplosione. Serate, interviste, televisione. Una linea di moda, un libro e un film. Tutte cose che un detenuto normale non può nemmeno sognare. E che Corona non può evitare e non vuole evitare, avendo costruito un personaggio che il pubblico non vuole mollare.

Ma forse, in tutta questa vicenda, emerge dal personaggio la persona. Consapevole degli errori, uno per uno, e a differenza di altre disposta ad ammetterli. La persona che vede nel figlio Carlos il motore di un esistenza e soprattutto, lo scrive nell’epilogo, la certezza di essere a sua volta figlio. Di un padre che aveva voluto abbandonare perché debole ma che in fondo gli ha dato ogni cosa; di un Dio che ancora oggi, nonostante tutto, non lo abbandona. “La cattiva strada” è, per l’appunto, cattiva. Ma dove porta lo sa solo chi l’ha percorsa, e nel cammino sbagliato un Bene più grande e che può tutto può ancora salvare. Bisogna solo volerlo.